An investigation into the Vajont catastrophe è la mostra fotografica collettiva di CALAMITA/À, a cura di Laura De Marco, che inaugura presso la galleria di Spazio Labo’ mercoledì 25 settembre alle ore 19.30 alla presenza degli autori e delle autrici Gianpaolo Arena, Marina Caneve, Petra Stavast e Jan Stradtmann.
Il 9 ottobre 1963 quasi duemila persone persero la vita travolte da una gigantesca onda di acqua e fango provocata da un’enorme frana precipitata nel bacino idroelettrico del Vajont. Dopo poco più di 60 anni la storia del Vajont rimane tra i più gravi disastri ambientali causati dall’azione antropica.
In una modernità dove si passa senza soluzione di continuità da una catastrofe alla successiva, il progetto si occupa di esplorare i territori geografici e culturali del Vajont per investigare una domanda fondamentale: come vedere la catastrofe che si avvicina?
CALAMITA/À, in una fase iniziale durata tre anni, ha coinvolto più di cinquanta artisti e ricercatori per affrontare il tema della rappresentazione della catastrofe attraverso progetti site specific a breve termine, oltre a promuovere riflessioni su argomenti quali la trasformazione del paesaggio, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la relazione tra uomo, natura e potere, l’emarginazione sociale delle minoranze e l’identità individuale e collettiva.
Dal 2016 in poi, il focus del progetto è diventato quello di sviluppare i lavori a lungo termine di un gruppo ristretto di autori, iniziati tra il 2013 e il 2015: Gianpaolo Arena (it, 1975); Marina Caneve (it, 1988); Céline Clanet (fr, 1977); François Deladerriere (fr, 1972); Petra Stavast (nl, 1977); Jan Stradtmann (de, 1976).
Nel 2023, grazie al supporto della Provincia di Treviso e alla collaborazione con il FAST – Foto Archivio Storico Trevigiano della Provincia, CALAMITA/À è risultato vincitore del bando “Strategia Fotografia” del Ministero della Cultura, dando di fatto l’opportunità agli autori di concludere le loro ricerche.
Il 24 settembre gli autori e le autrici di CALAMITA/À presenti a Bologna terranno una sessione di workshop con gli studenti del Corso Triennale in Fotografia di Spazio Labo’.
MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 2024, ORE 19.30
INAUGURAZIONE MOSTRA
Ingresso libero
MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 2024, ORE 18.30
INCONTRO E VISITA GUIDATA CON AUTORI E AUTRICI
Ingresso libero
Strada Maggiore 29, Bologna
Partner di progetto
Fw:Books (Amsterdam); M9 Museo del ‘900 (Mestre); Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” (Torino); Spazio Labo’ (Bologna); mu.ri (Treviso); Impact Spin off dell’Universitá degli studi di Padova – Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova.
Nel 2024 il progetto si svilupperà attraverso una serie di tre mostre, lectures e la pubblicazione del libro (Fw:Books).
Evento realizzato nell’ambito del progetto CALAMITA\À sostenuto da Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Progetto inserito nell’ambito del programma Dolomiti metamorfosi di un paesaggio 2024.
Gianpaolo Arena
Collapsing Stars (2013-2024)
Accanto a immagini che potrebbero essere facilmente intese come rappresentazioni paradigmatiche del paesaggio, Collapsing Stars comprende una serie di ritratti. I soggetti sono catturati in pose frontali, alcuni guardano verso la fotocamera, altri fotografati in ambiente esterno, altri in interni domestici. Tutti, però, appartengono alla stessa generazione. Tutti loro erano abbastanza grandi da aver vissuto il trauma degli eventi del 1963, da adolescenti o da bambini.
Marina Caneve
Crolla la diga. Le voci si contraddicono (2013-2024)
In un’ora il deserto, si disse. Ma il Vajont davvero è riconducibile ad un istante, le 22:39, o non è forse frutto di un sistema ed emblema di una complessità?
Fin dall’infanzia ho sentito parlare di questa catastrofe in diversi ambienti: famiglia, scuola, letteratura e media. Questo mi ha portata a sviluppare un interesse per le differenze e le incoerenze nel racconto. La mia ricerca consiste in un dialogo tra incongruenze nel paesaggio contemporaneo e disobbedienza dell’archivio.
Céline Clanet
Una notte, la montagna è caduta (2015-2024)
Nel Vajont ho fotografato come se stessi raccogliendo pietre lungo un sentiero. Cercando di assemblare un rebus complesso, costruendo un racconto che potessi eventualmente comprendere, ogni fotografia è diventata la piccola indagine parte di un enigma: sono tracce del disastro, o segni premonitori? Nel Vajont il tempo spariva, restava solo lo spazio.
François Deladerriere
Echo (2015-2024)
Echo è un approccio metaforico e poetico del territorio del Vajont. È la restituzione di lunghe passeggiate, diurne e notturne, nella valle. Una testimonianza del tempo che ho trascorso, cercando una connessione con il paesaggio. In mezzo al silenzio, ho cercato di sentire il suono lontano e debole della catastrofe passata. Questo territorio, nonostante l’assenza, nonostante l’amnesia conserva le testimonianze del disastro, la Storia è ovunque nelle stratificazioni del paesaggio.
Petra Stavast
The Spectators (2016-2024)
Il progetto si concentra sugli abitanti di Erto e Casso che assistettero alla tragedia dalle loro case. Sebbene i paesi siano rimasti per lo più illesi, il giorno dopo la tragedia le autorità li hanno costretti a evacuare la zona bloccando di fatto l’accesso con la costruzione del “muro della vergogna”. Accanto a questo, Stavast ha indagato l’immenso archivio del geologo Edoardo Semenza (figlio di Carlo, l’ingegnere che progettò e costruì la diga), che scoprì la frana del Vajont nell’agosto del 1959. Le sue osservazioni furono confermate dal geologo austriaco Leopard Müller. Per ragioni indistinte le loro segnalazioni non sono mai arrivate alle autorità di controllo.
Jan Stradtmann
Third Nature (2015-2024)
Il progetto esplora l’idea di un’archeologia visiva dell’evento, combinando paesaggi contemporanei, ritratti e nature morte di oggetti ritrovati. I ritratti dei discendenti dei sopravvissuti sono stati fotografati in ambienti domestici o urbani nella città del Vajont, costruita a circa 40 km dalla diga del Vajont per dare nuove case ai sopravvissuti. A più di 50 anni dalla catastrofe, Stradtmann utilizza la fotografia per documentare lo stato attuale del sito – il “com’è” dopo il “com’era” – trasformando il disastro in una metafora di un processo decisionale errato.