Continuano le interviste di Cristina Ropa per Bologna da Vivere alle 15 donne vincitrici del Premio Tina Anselmi 2018, giunto alla sua seconda edizione e patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Comunale. Per la categoria Educazione la vincitrice è stata Elisabetta Bonfatti, docente di Scienze Naturali al Liceo E. Fermi di Bologna.
Perché ha deciso di fare l’insegnante?
E’ un desiderio che avevo fin dalle elementari. Quando ero bambina, di sera a tavola con la mia famiglia, spiegavo loro come si forma una cicatrice. Diventare insegnante è stato come coronare un sogno. Penso che le massime responsabilità le abbiano i medici perché “è in gioco” la vita ma, subito dopo, vengono gli insegnanti perché “è in gioco” il futuro dei giovani e quindi della società. Un insegnante può far innamorare di una materia, abbiamo una grande missione. Oltre a trasmettere i contenuti di Scienze Naturali, la materia che insegno, ho cercato di rendere gli alunni consapevoli di cosa significhi “cittadinanza attiva”. Abbiamo collaborato per esempio con il regista Paolo Billi per il progetto “Dialoghi” promosso dal Teatro del Pratello. Questa esperienza ha fatto conoscere agli studenti la realtà di ragazzi minorenni detenuti sensibilizzandoli verso chi è meno fortunato di loro. Anche con il Green Social Festival abbiamo realizzato tante cose come mettere in risalto il discorso di donare il sangue. E’ vero che sono una docente di Scienze Naturali ma sono anche un’educatrice quindi tutto ciò che è trasversale è comunque stimolante sia per noi docenti che per i giovani. Un altro progetto è “Al di là dei muri” che sto seguendo tutt’ora e che consiste nel coinvolgimento di un piccolo gruppo di immigrati dell’Associazione Arca di Noè in una serie di incontri pomeridiani a cui partecipano anche gli studenti di III e IV del Liceo Fermi e durante i quali insegno Scienze Naturali. Inoltre mi è capitato di organizzare con i genitori e gli studenti un sabato sera in visita al planetario di San Giovanni in Persiceto.
Come riesce a conciliare lavoro e famiglia?
La famiglia per me è importantissima. E’ un’ancora ed è ciò che mi ricarica. Quello che viene dall’esterno è un arricchimento ma poi ritorno al mio nido, alla casa. E’ stato un sogno anche sposarmi con mio marito, entrambi studenti qui al Fermi, e avere i nostri due figli.
Ha mai vissuto dei momenti difficili durante la sua carriera?
Il nostro lavoro di educatore funziona se tu rispetti gli studenti perché poi gli studenti a loro volta ti rispetteranno. Il messaggio che deve passare è quello costruttivo. Con loro sono sempre molto schietta e insegno che con garbo si può dire tutto, anche le cose che non funzionano. Bisogna creare quelle condizioni di empatia affinché la persona venga in classe volentieri, affinché non ci siano censure. Con la mediazione poi cerchi di assecondare tutte le esigenze. Così facendo affronti di giorno in giorno le sfide che si presentano.
Un momento che ricorda con più affetto durante questi anni?
Ricevere il Premio Tina Anselmi è stato un riconoscimento al mio lavoro da parte della cittadinanza che mi ha molto emozionata. I progetti con i ragazzi sono tanti e sempre in divenire. Una classe ad esempio quest’anno si è comportata benissimo in gita a Valencia e con la collega abbiamo fatto una lettera di encomio al dirigente. Sono ragazzi di III liceo che hanno sempre collaborato quando c’era da raggiungere un monumento, sempre puntuali, sempre responsabili. Sì, di gratificazioni ne ho avute tante.
Che cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono fare gli educatori?
Se il loro desiderio è quello di insegnare devono prepararsi molto bene. Devono essere molto sinceri perché può capitare quella volta che gli studenti ti faranno una domanda alla quale non saprai rispondere. A quel punto dovrai dire che ci pensi un attimo e che si ritornerà sull’argomento nella lezione successiva. Ci deve essere un rapporto professionale molto serio ma che abbia tutte le condizioni di una giusta armonia. L’esperienza è importante. All’inizio avevo un tale entusiasmo che avrei finito il programma a Natale e invece gli studenti hanno i loro tempi e quindi occorre calibrare le proposte educative. Essere educatore significa saper cogliere il meglio che possono dare gli allievi anche quando, per esempio, sono sotto stress emotivo per una verifica. Abbiamo il compito di dare degli stimoli affinché si crei il migliore dialogo educativo.