Da giovedì 8 a domenica 11 febbraio Gabriele Lavia torna sul palco dell’Arena del Sole con una della più note tragedie scritte dal drammaturgo svedese August Strindberg. Dopo Brecht e Pirandello, il regista e attore si confronta per la terza volta nella sua carriera con Il padre di Strindberg. La casa, la famiglia, la resa dei conti, motivi simbolici per il drammaturgo svedese, vengono qui portati a un confronto ultimativo, che si impone con la lucidità dell’allucinazione.
“L’azione di quest’opera – afferma Gabriele Lavia – è tutta interiore e stretta nella morsa tragica dell’unità di tempo, luogo e azione nella quale deve essere compiuto il ‘delitto perfetto’: l’omicidio psichico. Il nostro spettacolo precipita l’azione dentro una vertigine di velluto rosso sangue dove il quieto salotto familiare comincia ad ‘affondare’ nel naufragio di ogni certezza. È il naufragio del mondo e della storia. Ma forse la vita non è altro che un naufragio”.
Il Capitano di cavalleria Adolf viene a scontrarsi con la moglie Laura sull’educazione da impartire alla figlia Berta. La consorte non esita a instillare nell’animo dell’uomo un dubbio atroce: la sua stessa paternità. Il lungo calvario mentale di Adolf lo sprofonda in un’angoscia devastante, fino a farlo precipitare.
“Scritto con un’ascia, non con la penna”. Cosi August Strindberg definisce Il padre composto in una manciata di mesi nel 1887 che della tragedia, nel senso più autentico del termine, rivendica tutti i paradigmi, mettendo a nudo i nodi irrisolti di un rapporto coniugale inaridito in regole che hanno reso moglie e marito estranei l’una all’altro, rivali, nemici. “L’intreccio del Padre – spiega Gabriele Lavia – è semplicissimo. Un marito sospetta che la moglie lo abbia tradito e che la figlia sia figlia di un altro. Marito, moglie, figlia e… l’altro. Un intreccio, diciamolo pure, banale, che nelle mani di Strindberg diventa un ‘abisso’. O, meglio, il precipitare nell’abisso della perdita di ogni ‘certezza ontologica’ dello statuto virile della paternità e l’avvento della condizione di ‘incertezza dell’essere’ dell’uomo che, dunque, deve fare i conti con la cultura, la storia e addirittura, poiché Strindberg scrive una tragedia classica, con il mito”.
“Siamo alla fine dell’Ottocento e, quindi, ci si muove – prosegue Lavia – in un ambito nel quale, ancora, non è possibile scientificamente provare con certezza la ‘paternità certa’ di un uomo. Solo la madre è certa. Il padre non è certo. Così il Capitano. Il Padre, cioè l’uomo del comando, privato di ogni certezza è condannato a soccombere di fronte alla donna che è più forte, perché ha la ‘certezza dell’essere’. La certezza dell’essere contro l’incertezza del non essere. E se l’essere uomo diventa ‘non essere’, diventa proprio come Amleto, follia”.
La vicenda personale alla quale può venir ricondotta l’opera è il matrimonio di Strindberg con Siri von Essen, da lui conosciuta quando è la baronessa Wrangel. Divorziatasi dal marito, Siri sposa Strindberg nel 1877 e gli dà quattro figli, tre dei quali hanno molta parte nella sua vita. Ma il matrimonio attira e respinge insieme lo scrittore, e con tale veemenza, che dopo la prima avrà altre due mogli, ma rimanendo sempre inquieto e infelice. Il periodo in cui scrive Il padre è quello che precede il divorzio da Siri, sancito nel 1891, ma è pure il momento di sue intense e sistematiche letture di psicologia, storia, politica, scienze naturali, e in cui si occupa anche di pittura, fotografia e ipnotismo.
Conclude Gabriele Lavia: “È proprio nel precipitare nella follia che il Capitano Adolf riesce ad affondare il suo ‘caso banale’ di sospetto di ‘corna’ nell’abisso della storia dell’uomo, fino al mito di Ercole (salvatore del mondo) e di Onfale (la grande de-virilizzatrice) che si scambiano i vestiti. Cosicché l’uomo diventa donna e la donna diventa uomo. Onfale con l’inganno s’impossessò della clava di Ercole e della sua pelle di leone, simboli della virilità e della forza. Ed Ercole, ingannato, indossò le vesti della bellissima Onfale, simboli della fragilità e dell’obbedienza. Il nostro Capitano, privato del potere economico e interdetto, impazzito e stretto nel vestito dei ‘pazzi’ (la camicia di forza), indosserà simbolicamente lo scialle profumato della moglie in una vertiginosa proiezione del mito”.
Gabriele Lavia interpreta il marito, il Capitano di cavalleria Adolf, Federica Di Martino è la moglie Laura. Il cast si compone di Giusi Merli (La Balia), Gianni De Lellis (Il Pastore), Michele Demaria (Il Dottor Östermark), Anna Chiara Colombo (Berta, la figlia), e dei giovani attori diplomati alla Scuola ‘Orazio Costa’ del Teatro della Toscana, Ghennadi Gidari (Nöjd), Luca Pedron (L’Attendente).
CONVERSANDO DI TEATRO
La compagnia incontra il pubblico per condividere spunti, impressioni, dubbi e sorprese della messa in scena dello spettacolo:
sabato 10 febbraio ore 16.30 – Teatro Arena del Sole
conduce Marzio Badalì, critico teatrale
Teatro Arena del Sole, Via Indipendenza 44 – Bologna
da giovedì 8 a domenica 11 febbraio
giovedì e venerdì ore 21 | sabato ore 19.30 | domenica ore 16
di Johan August Strindberg
regia Gabriele Lavia
produzione FONDAZIONE TEATRO DELLA TOSCANAdurata: 2 ore e 30 minuti con intervallo
Informazioni e prenotazioni:
Biglietteria Arena del Sole:
Via Indipendenza 44, Bologna
tel. 051.2910910 dal martedì al sabato ore 11-14 e 16.30-19
Biglietteria telefonica: tel. 051.656.83.99 dal martedì al sabato ore 10-13
biglietteria(aT) arenadelsole.it
www.arenadelsole.it | www.vivaticket.it