Dal 23 settembre 2016 all’8 gennaio 2017, Palazzo Fava ospita la mostra Bologna dopo Morandi 1945 – 2015, curata da Renato Barilli e organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei nella Città.
A due anni di distanza dal successo della mostra Da Cimabue a Morandi, che passava in rassegna sette secoli di arte a Bologna, partendo da Cimabue fino ad arrivare ai tempi di Morandi, il critico e storico dell’arte Renato Barilli riparte da lì per andare oltre ed esaminare quanto è avvenuto nell’ultimo mezzo secolo di arte bolognese, il periodo che va dal 1945 fino al 2015.
La mostra Bologna dopo Morandi 1945- 2015 è composta da 150 opere di una settantina di artisti, tutti nati o attivi a Bologna e dintorni, che hanno influenzato con la loro personalità e il proprio stile la storia dell’arte bolognese dal secondo dopoguerra ad oggi. Il percorso di mostra è articolato in 12 “stazioni”, ognuna delle quali prende le misure sui grandi fenomeni che in quegli anni si sono verificati a livello nazionale e internazionale.
Si parte dall’immediato dopoguerra con i fermenti del post-cubismo, recepiti soprattutto da Sergio Romiti. Tra le tappe più sostanziose di questo percorso, emerge l’Ultimo naturalismo dovuto al maggiore critico del periodo, Francesco Arcangeli, che con quell’etichetta ha condotto gli artisti bolognesi nelle coordinate generali dell’Informale.
Verso la fine degli anni ’50, compare il giovane Concetto Pozzati che fu pronto a praticare l’uscita dall’Informale attraverso le “possibilità di relazione”, confluite poi nel clima della Pop Art e diventandone uno dei migliori interpreti. Attorno alla Scuola di Palazzo Bentivoglio, fondata da Vasco Bendini, affiorano artisti, come Pier Paolo Calzolari, tra i migliori esponenti dell’Arte povera, e Luigi Ontani, risoluto autore di un ribaltamento dal “povero” al “ricco”, attorno a cui si è realizzato il clima del postmoderno, o del citazionismo, e si è costituita la notevole formazione dei Nuovi-nuovi. Un altro momento di grande importanza si stabilisce attorno ad Andrea Pazienza e ai suoi colleghi, tutti fumettisti di prima qualità. Accanto a chi entra in fenomeni di gruppo, la mostra dà conto anche di presenze solitarie, come Nino Migliori, uno tra i più importanti fotografi italiani. Infine, la mostra si conclude con gli esponenti della Nuova Officina Bolognese: giovani artisti che ricorrono all’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione quali le installazioni e l’uso di tecniche digitali, tra cui anche le videoproiezioni, collocate in una stanza specifica .
Le 150 opere in mostra sono provenienti in gran parte dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, dal Mambo e dalla Galleria Comunale di Bologna, nonché dagli artisti stessi e da altre collezioni pubbliche e private. Di seguito un saggio esplicativo del Prof. Barilli.
MOSTRA
Il lungo percorso della mostra Bologna dopo Morandi 1945-2015, che tocca settant’anni di arte bolognese, viene articolato in “stazioni”, dodici di numero, che cercano di conciliare la partecipazione bolognese ai grandi fenomeni nazionali e internazionali avvenuti al di fuori delle nostre mura con le modalità specifiche con cui sono stati recepiti presso di noi, tenendo anche conto delle singole personalità dei vari artisti. La diversa importanza dei protagonisti trova un riscontro nel numero di opere con cui vengono esposti, pur sempre in un quadro molto sintetico.
Tra queste “stazioni” ne incontriamo una iniziale, dell’immediato dopoguerra, in cui anche a Bologna giungono i fermenti di una situazione ufficiale, allora consistente nel cosiddetto postcubismo, cui si adeguano artisti peraltro già all’opera negli anni precedenti, tra di loro particolarmente notevole lo scultore Luciano Minguzzi. L’episodio culminante di questa fase si trova nei dipinti di Sergio Romiti, in cui allora si vide l’erede delle nature morte morandiane, ma divenute fredde, metalliche, scintillanti di cromature per l’impatto esercitato dai nuovi sistemi di produzione sui tradizionali oggetti domestici.
Il postcubismo, eredità degli anni Trenta, venne presto scavalcato dall’impetuosa ondata dell’Informale, corrispondente, sul fronte esterno, a tragici eventi come lo scoppio della bomba atomica. Bologna entra in sintonia con questo clima avanzato e davvero “esplosivo” per merito del critico più influente in quegli anni, Francesco Arcangeli, combattuto tra l’eredità che gli veniva dai padri putativi Roberto Longhi e Giorgio Morandi, e dalla loro lezione a favore di una natura avvertita come fonte di un ben calibrato equilibrio, e invece l’intuizione che quella frontiera era ormai da considerarsi “ultima”, come da titolo di un suo famoso saggio, insufficiente, da superare, fino a confluire nell’incalzante ondata dell’ Informale. Arcangeli sosteneva questa sua predicazione a favore di un Ultimo naturalismo collegandosi a tre protagonisti fuori dalla nostra città, gli unici ammessi alla presente rassegna proprio in ragione dell’importanza che hanno avuto nella sua concezione: Ennio Morlotti, Mattia Moreni, del resto riportabili in qualche modo a una accezione di naturalismo, e invece Alberto Burri, del tutto estraneo a quel clima. A fare da tramite tra loro e la nostra città, entrava la figura di Pompilio Mandelli.
Oltre a collegarsi a questi suoi coetanei, Arcangeli puntava anche su quattro bolognesi più giovanidi unagenerazione,VascoBendini,GiuseppeFerrari,BrunoPulga,SergioVacchi, confluenti in pieno nella situazione destinata a dominare per intero i tardi anni Cinquanta. Molti altri sono i comprimari di una simile situazione qui passati in rassegna. Ma al termine di quel decennio si sentì il bisogno di uscir fuori da un ambito troppo concentrato su se stesso, conveniva cioè tentare di stabilire nuove “possibilità di relazione”. A questo programma aderì prontamente il giovane Concetto Pozzati. Prima però di seguire questa svolta decisiva, la mostra rende onore a figure più o meno isolate quali Pirro Cuniberti, Mario Nanni, Lucio Saffaro, Volfango. Il filo conduttore delle “possibilità di relazione” conduce fino all’apparire,
anche nella nostra città, di “tracce di Pop Art”, come titola la quinta “stazione”, con cui si lascia il piano nobile del Fava salendo al secondo piano, dove si è accolti da un “murale” in cui proprio Pozzati offre una persuasiva campionatura di tutte le possibilità di aderire agli oggetti del consumismo forniti dalla “civiltà di massa” frattanto maturata. Gli sono a fianco opere affini forniti da Carlo Gajani e dall’allora giovanissimo Piero Manai, che però a un certo punto ha praticato un totale capovolgimento, da immagini limpide a incubi notturni, una strada lungo la quale si è venuto a trovare in accordo con i passi ulteriori quali da tempo stava compiendo, trasferitosi a Roma, uno degli eroi dell’Ultimo naturalismo arcangeliano, Sergio Vacchi, anche lui, in definitiva, alla ricerca di “possibilità di relazione”, rintracciate però nell’immenso patrimonio di personaggi dell’attualità, e quindi non estranei a un carattere Pop, che venivano squadernati dai rotocalchi, dai mass media in generale, ma che Vacchi riprendeva proprio come in un sogno notturno.
Anche un altro dei testimoni dell’Ultimo naturalismo arcangeliano, Vasco Bendini, sentì il bisogno di cambiare discorso, rivolgendosi pure lui a suggestioni nordamericane, però non di specie Pop, bensì New Dada, accogliendone l’incitamento a fare grande e in chiave spettacolare, ricorrendo a delle sorte di happening e di performances, realizzati in un austero palazzo manierista, il Bentivoglio, e dunque la tappa dedicata allo Studio Bentivoglio può essere considerata tra le più significative dell’intero percorso, perché oltre ad attestare lo straordinario svolgimento dell’arte di Bendini, poi però rientrato nei suoi panni di pittore, vi ha svolto le prime mosse Pier Paolo Calzolari, destinato a confluire nel movimento dell’Arte povera, cui dunque, per merito suo, al quartier generale solidamente impiantato a Torino, si può annettere un ramo minore svoltosi presso di noi. Un altro emergente dallo Studio Bentivoglio è Luigi Ontani, che però, a differenza di Calzolari, opera un tipico rovesciamento dal “povero” al “ricco”, pratica cioè un’arte che invece di insistere nel testimoniare il “qui e ora”, preferisce coltivare l’”alibi”, cioè l’altrove, andare a rivisitare il museo, oppure luoghi extraoccidentali come l’India, consacrati a tradizioni e abilità artigianali del tutto sconosciute presso di noi. A questo modo Ontani detta il criterio di fondo cui si ispira l’intera seconda metà dei Settanta e oltre, intitolata anche ai postmoderno, alla citazione, alla “ripetizione differente”. Infatti, dietro di lui, si raccoglie il gruppo dei Nuovi-nuovi, reclutato dal curatore della presente mostra, con la collaborazione di due critici di grande talento che lo hanno affiancato in questa e in altre imprese, Francesca Alinovi e Roberto Daolio.
I Nuovi-nuovi, che in ambito bolognese sono Bruno Benuzzi, Marcello Jori e Giorgio Zucchini, partecipano al fervido clima di quegli anni in fiera gara emulativa con Anacronisti e Transavanguardisti. La mostra riesce pure ad accordare una ridotta ma significativa presenza a Nino Migliori, tra i più intraprendenti sperimentatori di quanto si può ricavare da usi eterodossi della fotografia. Infine un altro episodio decisivo di questa storia felsinea si ha attorno alla figura di Andrea Pazienza, che fra l’altro consente di ricordare una famosa istituzione della nostra Università quale il DAMS (Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo) in cui egli ha studiato, mentre sul fronte ben diverso di avvenimenti pubblici ha
pure partecipato alla contestazione del ’77. Un po’ di quella violenza, seppure filtrata e pacificata, è entrata nei fumetti che Pazienza sapeva tracciare con una enorme varietà di stili, trascinandosi dietro le presenze ugualmente dinamiche e inventive di Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort, Lorenzo Mattotti.
Le ultime due “stazioni” del presente percorso si trovano al terzo piano del Fava e sono dedicate a un Nuova Officina Bolognese, ovvero alla bella realtà che dal nostro suolo sono balzati fuori talenti vivaci, capaci di porsi in piena sintonia con le pratiche più avanzate dell’intero orizzonte nazionale e internazionale. Infatti sono artisti e artiste che non si sono lasciati racchiudere nel nostro limitato contesto, ma hanno stabilito solidi agganci con gallerie dei centri più importanti dentro e fuori del nostro Paese. Da notare anche che tra di loro si verifica un fenomeno insolito nel passato, avviene cioè che le donne artiste superano nel numero i loro colleghi, in un rapporto di cinque a tre. Si tratta di Eva Marisaldi, Sabrina Mezzacqui, Sabrina Torelli, Alessandra Tesi, Sissi. Una situazione di parità è data dalla coppia Monica Cuoghi-Claudio Corsello, mentre la squadra al maschile comprende Luca Caccioni, Pierpaolo Campanini e Alessandro Pessoli. Bologna, attraverso la sua Università, e in particolare il Dipartimento arti visive, ora confluito in un più ampio Dipartimento delle arti, è stata pure alma mater per quanto riguarda la videoarte, che in una mostra del 1970 era già presente grazie a un sistema di monitor a circuito chiuso nelle sale dell’esposizione, dove si potevano ammirare scene direttamente registrate negli studi degli artisti partecipanti. In seguito, dal 2006, ogni estate nel Dipartimento delle arti si tiene una rassegna dei migliori prodotti video dell’anno, che ovviamente provengono da ogni parte del nostro Paese. Qui viene offerta, in loop, una selezione di 14 partecipazioni di artisti delle nostre parti, alcuni dei quali già presenti con opere fisse, altri costituenti una ultima ondata, a riprova che la creatività bolognese non si arresta ma riesce a rinnovarsi a ogni volgere di stagione.
Fino all’8 gennaio
Biglietti
Intero € 11,00 (audioguida inclusa) Ridotto € 9,00 (audioguida inclusa)
Sede
Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni Via Manzoni, 2 – Bologna
Orario apertura
Da martedì a domenica: 10.00 – 19.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Catalogo
Edizione Bononia Univercity Press