Uno studio condotto dall’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Trento, dimostra le conseguenze negative a livello psicologico e fisiologico del non riuscire a staccare dal lavoro
Bologna, 3 agosto 2016 – Chi lavora eccessivamente e sviluppa una vera e propria ossessione per il lavoro, a lungo andare, mostra sintomi di malessere affettivo, irritabilità, ansia, depressione e anche un’elevata pressione sanguigna. Lo studio di questo fenomeno, chiamato Workaholism, è stato condotto da Cristian Balducci, professore associato di Psicologia del lavoro dell’Università di Bologna, in collaborazione con Lorenzo Avanzi, ricercatore in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e Franco Fraccaroli, professore ordinario nella stessa disciplina all’Università di Trento.
Lo studio recentemente pubblicato sul “Journal of Management”, “The Individual “Costs” of Workaholism: An Analysis Based on Multisource and Prospective Data”, dimostra i correlati psicofisici negativi dati dall’incapacità di staccare dal lavoro, fenomeno spesso oggi frequente tra le persone sempre più esposte a carichi e ritmi elevati e al limite della gestibilità. Il workaholism è una forma negativa di forte investimento nel lavoro, in cui la persona non solo lavora eccessivamente – spesso ben oltre quanto richiesto dall’organizzazione – ma sviluppa una vera e propria ossessione per l’attività lavorativa, non riuscendo a staccare e provando un disagio significativo quando si allontana da essa. I correlati di questo fenomeno sono stati documentati dai ricercatori italiani non solo a livello psicologico (sintomi di malessere affettivo, irritabilità, ansia e depressione), ma anche a livello fisiologico (elevata pressione sanguigna).
Lo studio è stato condotto dai ricercatori su due fronti: attraverso un campione di 311 partecipanti, costituito in gran parte da liberi professionisti, dirigenti e imprenditori, è stato mostrato che i soggetti con una tendenza più marcata al workaholism, registrano una più frequente esperienza di stati emotivi negativi (ad es. rabbia, pessimismo, scoraggiamento), non solo quando questi sentimenti sono autoriportati dal soggetto, ma anche quando viene chiesto ad una fonte indipendente (il partner, nella gran parte dei casi) di riportare il benessere affettivo del soggetto; attraversi un gruppo di 235 lavoratori dipendenti, è emerso che una più marcata tendenza al workaholism impatta negativamente sulla salute mentale ad un anno di distanza, a suggerire che alla lunga le conseguenze della dipendenza da lavoro possano essere di rilevanza clinica. Inoltre è emerso che un carico di lavoro percepito come molto elevato produce un rafforzamento della tendenza al workaholism.
“Richieste di lavoro cronicamente elevate – spiegano Balducci e i colleghi di Trento – spingono all’investimento aggiuntivo sul lavoro, rafforzando nella persona il legame mentale con esso e la difficoltà a staccare. Le organizzazioni lavorative dovrebbero essere attente a non alimentare questo fenomeno nei propri lavoratori, cercando di prevenirlo per evitare un degradamento significativo delle condizioni di benessere delle risorse umane e della loro vitalità”.