Officina Pasolini: una mostra dedicata all’universo poetico, estetico e culturale di Pier Paolo Pasolini nel 40° anniversario della morte, avvenuta il 2 novembre 1975, promossa dalla Fondazione Cineteca di Bologna, in collaborazione con l’Istituzione Bologna Musei e l’Università di Bologna – Scuola di Lettere e Beni culturali che si aprirà al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna il 18 dicembre, per rimanere visibile fino al 28 marzo 2016, a coronamento del progetto Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna, l’insieme delle iniziative promosse dal Comune di Bologna, attorno all’opera e alla figura di Pasolini nell’ambito delle iniziative Pasolini 1975/2015 riconosciute dal MiBACT – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. La mostra è a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini e il progetto d’illuminazione di Luca Bigazzi.
Una mostra che assume la forma del metodo di Pasolini: una sequenza di appunti, montaggi di scene, concatenazioni di frammenti. Il visitatore vi troverà i nuclei più significativi del mondo di Pasolini, dalla formazione bolognese alle due ultime opere: il film, uscito postumo, Salò o le 120 giornate di Sodoma, e il romanzo incompiuto Petrolio. Un’indagine che attraversa questi nuclei, li legge, li esamina e li collega, raccogliendo motivi che ritornano: la figura della madre, la tragedia greca, le visioni di altri mondi, di popoli arcaici, la presenza del sacro, le borgate, il mondo borghese, il potere neo-capitalistico.
Queste sono le tappe che il visitatore può percorrere, scoprendo quello che non conosce o ritrovando quello che ricorda, entrando in uno spazio espositivo, l’imponente Sala delle Ciminiere del MAMbo, trasfigurato in una sorta di grande navata di una cattedrale romanica, sulla traccia di un mondo architettonico e figurativo amato da Pasolini: entrando, ci si muove inseguendo le necessità della creazione come in un’officina artigianale.
“Officina” è la parola che il critico d’arte Roberto Longhi, figura imprescindibile per la maturazione artistica di Pasolini, aveva usato nel suo famoso saggio del 1934 sulla pittura ferrarese. “Officina” dà nome alla rivista che negli anni Cinquanta Pasolini, Roversi e Leonetti fondano a Bologna. Officina Pasolini è il titolo di questa mostra. Dentro questa grande officina, il visitatore vedrà muoversi, in infiniti modi, il personaggio Pasolini.
Pasolini è stato un artista che ha sperimentato le più diverse forme espressive e in ogni sezione della mostra saranno esposte fotografie, filmati, dipinti e disegni, estratti di film, riprese di spettacoli teatrali e documenti audiovisivi, scritti originali, costumi di scena. Un itinerario suddiviso in 9 aree tematiche:
1) GLI ANNI DI FORMAZIONE GLI STUDI CON ROBERTO LONGHI
Il percorso si apre con il periodo di formazione a Bologna, negli anni di Roberto Longhi: e qui vedremo, oltre a molti documenti originali che tracciano il percorso scolastico di Pasolini, i disegni che il giovane studente, cimentatosi nell’arte pittorica, dedicò a colui che nell’anno accademico 1938-39 individuò come “un’isola deserta nel cuore di una notte senza più una luce”, un maestro che “ci faceva vedere le immagini e sembrava di vedere un film”.
Roberto Longhi assume nella formazione di Pasolini un’importanza centrale che l’allestimento vuole restituire, attraverso una selezione tra i numerosi ritratti realizzati dallo stesso Pasolini raffiguranti il profilo di Longhi (tra questi, un inedito proveniente dalla collezione privata di Bernardo Bertolucci), le fotografie scattate da Dino Pedriali proprio mentre Pasolini è al lavoro ai ritratti di Longhi, il manoscritto autografo di Che cos’è un maestro, quasi un inno alla vocazione pedagogica di Roberto Longhi:
Longhi era prima uomo che professore (cioè nostro) proprio perché non c’era niente di professorale da grattare in lui per ritrovarlo: era subito ciò che era, cioè un uomo superiore: era uomo cioè in quanto superuomo, in quanto idolo, in quanto personaggio da Commedia. Per un ragazzo avere a che fare con un uomo simile era la scoperta della cultura come qualcosa di diverso dalla cultura scolastica. Parlava come nessuno parlava. Il suo lessico era una completa novità. La sua ironia non aveva precedenti. La sua curiosità non aveva modelli. La sua eloquenza non aveva motivazioni. Per un ragazzo oppresso umiliato dalla cultura scolastica, dal conformismo della società fascista questa era la rivoluzione.
Troviamo in questa sezione che indaga il rapporto tra Pasolini e Bologna anche gli scatti di Antonio Masotti che documentano Intellettuale, azione performativa di Fabio Mauri alla quale prese parte Pier Paolo Pasolini: sul suo corpo vennero proiettate le immagini del film Il Vangelo secondo Matteo. Si tratta di un momento che si intreccia con la storia del MAMbo, infatti l’azione si svolse il 31 maggio del 1975, nell’ambito delle attività inaugurali della Galleria d’Arte Moderna di Bologna che proprio quell’anno apriva al pubblico.
2) I MITI
Si entra quindi nella grande navata, le cui “vetrate” saranno sostituite da installazioni multimediali, dedicata ai Miti che hanno caratterizzato l’opera di Pasolini: quello della Madre, figura centrale della sua ispirazione; Cristo, riferimento con il quale Pasolini instaura una sorta di complesso processo di identificazione; la Tragedia classica, archetipo ritrovato nel suo cinema e nel suo teatro; i Popoli perduti, da quelli del mondo contadino del Friuli ai ragazzi di vita delle borgate romane, fino alle popolazione arcaiche dei mondi lontani e del Medio Oriente in particolare.
Pasolini ha mitizzato liricamente le realtà da cui era affascinato, trasformandole nei nuclei più significativi della sua opera. Alcuni luoghi, come Casarsa, le borgate romane, i mondi africani, il Sud dell’Italia, sono stati da lui messi al centro di opere poetiche o filmiche, e rappresentati secondo una prospettiva che li ha trasformati nei nuclei più significativi della sua esperienza. Così, l’intera vita di Pasolini si mostra oggi come un insieme di miti, di luoghi e di figure mitiche da lui assunte come maschere simboliche per parlare di se stesso.
Il Friuli
Scoperto all’inizio degli anni Quaranta, in quanto luogo di origine della madre Susanna Colussi, il Friuli diventa centrale nell’opera e nel pensiero di Pasolini. Rispetto a Bologna, la città del padre, della cultura borghese, dell’apprendimento scolastico, il Friuli rappresenta il luogo di un incanto poetico: il dialetto friulano (appreso con il vocabolario) è quello della prima raccolta ufficiale, Poesie a Casarsa (1942).
La madre
Susanna Colussi, madre di Pasolini, è una presenza costante nella sua opera, dalla poesia al cinema. Nella poesia friulana, la madre è spesso descritta come madre bambina, figura speculare a quella del figlio. Madre e figlio sono un’unica entità, legati da un amore indissolubile. Quando gira Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini decide di far recitare Susanna (e la cugina Graziella) in una delle scene più strazianti del film: l’arrivo di Maria ai piedi della croce dove agonizza Cristo.
Tutte le madri dei film di Pasolini sono madri infelici, madri che peccano per eccesso d’amore: Mamma Roma (Anna Magnani), Medea (Maria Callas), la madre di Teorema (Silvana Mangano), Giocasta, in Edipo re (ancora la Mangano, attrice che per Pasolini assume il ruolo della madre).
Cristo
Quando approda al cinema, Pasolini usa la figura di Cristo come modello dei suoi personaggi di borgata: Accattone (Franco Citti nel film d’esordio di Pasolini), Ettore Garofolo (Mamma Roma), Giovanni Stracci (La ricotta) sono letteralmente dei Cristi di borgata, e come tali muoiono ripetendo gesti cristologici. Non è un caso che nel 1964 Pasolini approdi al Vangelo secondo Matteo, cioè al film dove viene raccontata la vita di un Cristo reale, combattivo, energico, rabbioso, portatore di rivoluzione nel mondo dei poveri, un Cristo sembra riscattare la vita infelice degli altri personaggi che lo precedono.
La tragedia classica
Fin dalle prime prove giovanili, Pasolini mostra una specifica attenzione per il teatro tragico antico e per il mito greco. Edipo all’alba è il titolo di un abbozzo teatrale dove il racconto di Edipo è rivisto alla luce dell’amore incestuoso di Ismene per il fratello Eteocle. Nel 1960, su richiesta di Vittorio Gassman, Pasolini traduce l’Orestiade di Eschilo, per la messa in scena a Siracusa.
Con Medea (1969) Pasolini sposta l’attenzione sul mondo arcaico della maga e sul conflitto che la oppone al mondo tecnologico del suo seduttore Teseo. La Callas sperimenta qui i conflitti di civiltà che Pasolini indaga nei suoi saggi. E anche Appunti per un’Orestiade africana (1969) diventa l’allegoria del passaggio tra un mondo arcaico, senza regola, e il moderno mondo della Legge razionale instaurato dalla dea Atena.
Le borgate
“Non c’è stata scelta da parte mia, ma una specie di coazione del destino: e poiché ognuno testimonia ciò che conosce, io non potevo che testimoniare la borgata romana”. La scoperta delle borgate romane rappresentò per Pasolini la vera scoperta di un nuovo mondo e di una nuova lingua: il romanesco parlato dal popolo che viveva nelle baracche in condizioni primitive e quasi pagane, il suo umorismo cinico e allegro, la sua spontanea inventiva lessicale. Pasolini si immerse in quel mondo, lo evocò in racconti, poesie e in due fortunati romanzi frammentari e picareschi, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), esaltando la vitalità selvaggia di una gioventù che viveva al di fuori dalla storia e della morale, destinata inevitabilmente alla morte.
Nel film Accattone (1961) questo universo emerge dalle tonalità di un bianco e nero dai forti contrasti, dalle pose fisse, dai primi piani intensi, esplicitamente ispirati alla staticità dell’arte primitiva italiana. Il successivo Mamma Roma (1962) racconta già il momento in cui le borgate smarriscono la loro identità originaria per essere assimilate alla città: la protagonista (Anna Magnani), un ex-prostituta aspira per sé e per il figlio Ettore a un futuro di integrazione borghese. Il trasferimento dalla campagna ai nuovi palazzi di Casal Bertone condurranno al tragico destino del ragazzo che è quello di tutta la gioventù sottoproletaria.
I popoli perduti
Il Terzo Mondo, per Pasolini, rappresentava l’utopia di un mondo intatto nella sua cultura arcaica, popolare, in contrapposizione all’universo borghese e piccolo-borghese della cultura occidentale. Fin dall’inizio degli anni Sessanta lo scrittore viaggia spesso in India e in Africa con Alberto Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini. Ne nascono alcuni testi poetici interamente fondati sugli aspetti più intensi del mondo africano (colori, odori, luci), mentre dal viaggio in India deriva un reportage in forma di saggio, L’Odore dell’India.
Il Terzo Mondo è anche la dimensione in cui Pasolini ambienta la sua reinvenzione delle fiabe 4
delle Mille e una notte immaginando una carnalità e una sensualità popolari, libere da ogni repressione religiosa e immerse in una cultura magica.
3) LE ICONE La trasfigurazione delle icone, dalla Marilyn Monroe della Rabbia al Totò di Uccellacci e uccellini, e l’attacco contro l’omologazione sono al centro della sezione Pasolini e il suo tempo. Questi personaggi acquistano un nuovo valore nella prospettiva con cui Pasolini li rende espressivi. Marilyn Monroe, nella splendida sequenza a lei dedicata in La rabbia, diventa l’immagine di una bellezza antica e genuina che viene resa inautentica dalla società capitalista.
Maria Callas, nei panni di Medea, non è più la diva dei successi teatrali, ma assume il ruolo di una donna profondamente umiliata, piegata sul proprio dolore, e soprattutto deprivata della sua mitica voce.
Anche con Anna Magnani, malgrado i contrasti sul set di Mamma Roma, Pasolini riesce a ottenere risultati altissimi e non conformi con quello che la diva ormai rappresentava.
Per quanto riguarda Totò, l’operazione è talmente straordinaria da ridefinire l’immagine dell’attore: il Totò di Pasolini, protagonista insieme a Ninetto di tre film (Uccellacci e uccellini, Cosa sono le nuvole?, La Terra vista dalla Luna), diventa un filosofo bonario, un padre furbo e tenero, un sottoproletario fantasioso sopravvissuto alla trasformazione del mondo che lo circonda e nel quale lui riesce comicamente a muoversi, con astuzia e malinconia.
4) CRITICA DELLA MODERNITÀ
Se negli anni Sessanta Pasolini già denunciava l’avvento di una “Nuova Preistoria”, è dal 1973 che la sua critica della modernità entra nella sua fase più profonda con serie di articoli pubblicati sul “Corriere della Sera”, integralmente riprodotti in mostra:
I ceti medi sono radicalmente – direi antropologicamente – cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori dell’ideologia edonistica e del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di stampo americano. È stato lo stesso Potere – attraverso lo “sviluppo” della produzione di beni superflui, l’imposizione della smania del consumo, la moda, l’informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) a creare tali valori gettando a mare cinicamente i valori tradizionali. L’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più e al suo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione.
(Gli italiani non sono più quelli, 10 giugno 1974)
L’edonismo e la massificazione hanno prodotto una nuova gioventù assimilata ai lineamenti piccolo-borghesi che sono diventati l’unica identità dominante nell’Italia degli anni Settanta. Questo fenomeno, che Pasolini ha continuato ad analizzare e a criticare, sviscerandone ogni risvolto antropologico (dal linguaggio alla corporalità), è stato da lui definito una “catastrofe senza precedenti”, ispirandogli non solo alcuni fra i più importanti testi poi raccolti in Scritti corsari e Lettere luterane ma anche l’allucinante visione della degradazione giovanile nel romanzo incompiuto Petrolio.
5) LABORATORIO PETROLIO Il passaggio successivo della mostra toccherà proprio il Laboratorio Petrolio. Opera rimasta per vent’anni nei cassetti, pubblicata solo nel 1992, Petrolio contiene quello che lo stesso Pasolini definisce con Moravia il suo “testamento”. Secondo il progetto, il romanzo doveva presentarsi come opera non finita, frammentaria, anche se la morte dell’autore l’ha lasciata in uno stato non finito che incrementa spesso dubbi e ipotesi. Il fotografo Dino Pedriali, autore di ritratti di Andy Warhol e Man Ray, fu scelto da Pasolini nell’ottobre del 1975 per la realizzazione di una serie di fotografie, esposte in mostra, scattate a Roma, Sabaudia e soprattutto a Chia, che ritraevano Pasolini. Questi ritratti – di tale intensità e bellezza che alcuni in futuro diventarono vere e proprie immagini-simbolo del poeta – forse erano in parte destinati ad essere inclusi nell’iconografia magmatica di Petrolio.
GIRONI Si varcherà poi la soglia dei tre Gironi che si addentreranno nella visione “infernale” dello “sviluppo senza progresso” del mondo contemporaneo.
6) GIRONE DELLE VISIONI Il Girone delle visioni ospiterà gli inferni del Decameron, dei Racconti di Canterbury, di Salò, di Petrolio. Negli ultimi anni Pasolini adotta spesso l’immagine dell’Inferno (non solo dantesco) come dimensione allucinata che rimanda a orrori reali e concreti: nel film Il Decameron, “il miglior discepolo di Giotto” sogna durante la notte una visione ultraterrena dove la Madonna domina uno scenario di tormenti infernali, che assumeranno dimensioni più ampie nel viaggio agli inferi che precede il finale dei Racconti di Canterbury, ispirato alla pittura di Bosch e di Brueghel. In Salò è l’orrore “irrappresentabile” del presente a reificarsi in uno scenario atroce di sevizie e torture che ricordano i supplizi infernali. Nel romanzo Petrolio sono i gironi di un nuovo Inferno a racchiudere le visioni della gioventù omologata degli anni Settanta.
7) GIRONE DELLA BORGHESIA Il Girone della borghesia troverà la sua estrema rappresentazione in Salò o le 120 giornate di Sodoma, destinato a diventare il film postumo nel quale Pasolini metterà in scena quella che egli stesso definisce “l’anarchia del potere”. Potremmo considerare la borghesia protagonista dell’intera opera di Pasolini. Per Pasolini, la borghesia è la classe che impone i suoi valori e i suoi comportamenti in modo irreversibile dai primi anni Cinquanta in poi. Asservita a una logica di solo potere economico, di falsi moralismi, di apparenza vuota, la borghesia inizia trionfalmente la sua ascesa nel momento in cui i valori arcaici, autentici, elaborati nei secoli, vengono cancellati da nuovi valori interamente basati sul potere economico. La borghesia entra nel cinema di Pasolini con Teorema, il film dedicato al nucleo del mondo borghese, la famiglia, che si autodistrugge appena un elemento anomalo entra al suo interno e ne fa cadere le maschere. Salò o le 120 giornate di Sodoma è il film dove il potere borghese, incarnato nelle figure dei quattro Signori scellerati, viene rappresentato come in un’allegoria. Il potere è qui anarchia: può cioè decidere ogni cosa, comprare, manipolare e distruggere senza dover render conto a nessuna regola. Gli oggetti di questa distruzione sono i giovani, le vere vittime della società neo-capitalistica, come spiega Pasolini sotto molteplici aspetti nei suoi Scritti corsari, la raccolta che serve a capire profondamente le immagini terribili di Salò.
8) GIRONE DELLA TELEVISIONE E poi il Girone della televisione: “Nessun centralismo fascista – così recita il dattiloscritto originale, esposto in mostra, dell’articolo Contro la televisione – è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Si può affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo”.
9) PASOLINI DOPO PASOLINI
E proprio il Girone della televisione ci accompagnerà alla fine del percorso, con la testimonianza della morte stessa di Pasolini, attraverso i telegiornali del 2 novembre 1975 Una data lontana 40 anni, 40 anni nel corso dei quali la memoria di Pasolini è stata custodita e bistrattata, letta e riletta da infinite diverse prospettive. Ed è per questo che ad accompagnarci verso l’uscita sarà una lunga carrellata di autori, artisti, intellettuali che in questi 40 anni non hanno potuto prescindere dall’eredità lasciataci da Pier Paolo Pasolini.
In mostra vedremo anche il quadro che Mario Schifano realizza ispirandosi al volto di Pier Paolo Pasolini e un disegno del regista iraniano Abbas Kiarostami.