Dal 3 al 7 dicembre, Arena del Sole, sala Leo de Berardinis
A poco più di un mese dal debutto a Torino, Emilia Romagna Teatro Fondazione presenta all’Arena del Sole una sua nuova produzione realizzata assieme al Teatro Stabile di Torino, in cui Andrea De Rosa, regista e responsabile dell’adattamento, e Giuseppe Battiston, protagonista, affrontano una delle figure più affascinanti di Shakespeare, Falstaff, con una creazione nuova dal punto di vista drammaturgico. Non vedremo infatti la messinscena de Le allegre comari di Windsor, ma di un testo elaborato da De Rosa e Nadia Fusini attingendo soprattutto all’Enrico IV, il dramma nel quale il personaggio di Falstaff apparve per la prima volta in tutta la sua potenza, e al quale si ispirò Arrigo Boito per il Falstaff verdiano.
Altre fonti dell’adattamento sono Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, Lettere al padre di Franz Kafka, la sceneggiatura di Belli e dannati (My Own Private Idaho) un film di Gus Van Sant del 1991 che a sua volta ha tratto ispirazione dal Falstaff cinematografico di Orson Welles (1965).
«Tutto nel mondo è burla»: così chiosa Falstaff. Millantatore, sbruffone, vorace, vitalista, furfante, è un personaggio così dirompente da essere ripreso in due drammi di Shakespeare e diventare protagonista della irriverente commedia lirica di Arrigo Boito musicata da Giuseppe Verdi. Falstaff ha affascinato i più grandi talenti della scena, come Orson Welles, che riservò per sé il ruolo di protagonista nella versione teatrale e in quella cinematografica.
“C’è in Falstaff qualcosa che ci conquista subito – scrive il regista Andrea De Rosa -: un amore sfrontato per la vita, che si manifesta soprattutto nella forma dell’amore per la lingua, per le parole, per il motto di spirito, per la creazione instancabile di metafore e giochi linguistici; un senso pieno delle cose che accadono qui e ora e che di fronte al suo sguardo sembrano le sole che abbiano un qualche senso; c’è nelle sue parole una gioia che non si stanca mai, sempre pronta a rovesciare il male in bene, un senso dell’amicizia ingenuo e vorrei dire persino infantile, una ostinazione a fare di ogni dolore uno scherzo, di ogni situazione senza via d’uscita uno sprone a cercare di non lasciarsi imprigionare. Dopo l’incontro con Macbeth, ho chiesto a Giuseppe Battiston di calarsi stavolta nei panni di questo buffone, convinto che ci sia anche qui qualcosa di inaspettato e imprevedibile da scoprire sotto la maschera solo apparentemente tranquilla e bonaria che egli sembra mostrarci».
Note di regia integrali di Andrea De Rosa
Falstaff, dove sei stato tutto questo tempo?
Falstaff manca.
Non c’è più posto per Falstaff in un orizzonte in cui il valore della responsabilità ci viene predicato fin dalla nascita e in cui gli spazi lasciati alla libertà e all’improvvisazione sono sempre più ristretti. Nessuno, la mia generazione per prima, sembra avere la forza, il desiderio o il coraggio per andare in direzione contraria. Per resistere meglio ai cambiamenti epocali che lo attraversano, il nostro tempo si è solidificato in un cristallo di perbenismo dalla dubbia purezza e ha dovuto mettere al bando la risata irriverente di Falstaff. La rivoluzione – cantava Demetrio Stratos – “si perverte sempre in souvenir”. La buona educazione tiene a bada e cerca di reprimere sul nascere la pars destruens, ma con essa la pars ludens della nostra vita.
Il nostro tempo è alla ricerca costante di un’edificazione impossibile, non vuole più vedere il male, la perdita, il rischio e il dolore che qualunque fase di crescita e di passaggio inesorabilmente comporta, ma in questo modo cancella anche l’ebbrezza che al rischio di perdersi sempre si accompagna. Il mito della salute, del rifiuto dell’eccesso, ci ha assoggettati al suo comandamento, donandoci certamente una vita più lunga, ma senza darci in cambio nessuna delle felicità che ci aveva promesso.
«Le urine di Falstaff», scrive Shakespeare, «sono torbide». A lui non importa niente della salute. Falstaff vuole la sua pancia. Falstaff vuole la sua libertà, anche quando questa si presenta come dissoluzione. Il tempo di Falstaff non va da nessuna parte, è bloccato. Le sue giornate si ripetono sempre uguali, in modo circolare e inconcludente e in questo stallo improduttivo, in questo sottrarsi alla moderna concezione del tempo dell’impegno, della responsabilità e della maturità – che si affaccia proprio nell’Inghilterra elisabettiana e che da allora ci fa tutti uomini moderni – sembra crescere e alimentarsi il segreto e il mito della felicità di questo ciccione e della sua scombinata banda di amici. O perlomeno della sua allegria perché, a ben guardare, il bene supremo per Falstaff è proprio l’allegria, un bene molto più concreto e a portata di mano di qualunque inarrivabile felicità («Così ho lodato l’allegria, perché non avrai altro bene sotto il sole che mangiare, bere e essere allegro», dice il libro dell’Ecclesiaste).
Falstaff insegna a bere, rubare, mangiare, fare l’amore, ridere, ubriacarsi.
Il giovane principe Hal, futuro re Enrico V, viene attratto e risucchiato in questo mondo e decide di restarvi tutto il tempo che può. Il tempo della responsabilità, della corona, del governo, arriverà inesorabile e allora è come se lui volesse allontanare quell’istante e godere il più possibile di tutto ciò che gli sarà poi vietato per sempre. Falstaff diventa per Hal un secondo padre, il padre che lui, figlio di re, non ha mai avuto e non avrà mai, il padre che non ha paura dell’esperienza della vita, con tutti i suoi pericolosi risvolti.
La complessità della figura del padre, come intuì Hillman negli anni ‘70, è quella che nella cultura occidentale contemporanea ha subito le più grandi trasformazioni, la portata delle quali non siamo ancora in grado di valutare fino in fondo (non è un caso che la figura di Telemaco sia ritornata di grande attualità, anche nel linguaggio dei politici). Per indagare meglio questo rapporto padre-figlio, che è al centro del mio adattamento, ho chiesto a Giuseppe Battiston di interpretare sia il ruolo di Falstaff che quello di Enrico IV. Su questo doppio binario, su questa doppia figura di padre già ampiamente tracciata da Shakespeare, ho spinto la mia regia separando nettamente la duplicità dei luoghi dell’azione e con essa la varia umanità dei personaggi che vi abitano: da un lato, nella prima parte, la taverna-bordello di Eastcheap con i suoi giorni sempre uguali, nutriti di vino, rapine, scherzi, sesso, parole, parolacce, insulti, corpi, musica, caos, dall’altra il mondo del potere e del governo, algido e duro, in cui le regole spietate dell’assassinio e dell’inganno, che hanno accompagnato l’ascesa al trono di Enrico IV, devono essere trasmesse al giovane Hal.
Un’eredità difficile da ricevere, soprattutto quando essa è accompagnata dalle parole che nessun padre dovrebbe mai pronunciare: «ho fatto tutto questo per te».
Per seguire questo difficile passaggio di Hal da un padre all’altro, da un mondo all’altro, ho voluto accompagnare il testo di Shakespeare con alcuni brani tratti dalla Lettera al padre di Kafka e dallo Zarathustra di Nietzsche proseguendo, con quest’ultima scelta, un percorso di teatro filosofico che è il cuore della mia ricerca degli ultimi anni.
mercoledì 3 e venerdì 5 ore 21,
GIOVEDÌ 4 DICEMBRE, REPLICA POMERIDIANA ORE 15
sabato 6 ore 19.30
domenica 7 ore 16
FALSTAFF
da Enrico IV / Enrico V di William Shakespeare traduzione Nadia Fusini
con Giuseppe Battiston,
Gennaro Di Colandrea, Giovanni Franzoni, Giovanni Ludeno,
Martina Polla, Andrea Sorrentino, Annamaria Troisi, Elisabetta Valgoi, Marco Vergani
adattamento e regia Andrea De Rosa
scene e costumi Simone Mannino, luci Pasquale Mari, suono Hubert Westkemper
movimenti scenici Francesco Manetti
Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Emilia Romagna Teatro Fondazione
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Conversando di teatro
Sabato 6 dicembre, ore 16, Arena del Sole: incontro con la compagnia Falstaff
conduce: Rodolfo Sacchettini/Altre Velocità
partecipano: Rocco Coronato Professore Associato-Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari-Università degli Studi di Padova e gli studenti che aderiscono al progetto “Teatro in Classe”