Si conclude in bellezza la Stagione Sinfonica giovedì 19 dicembre 2013, alle ore 20.30, presso l’Auditorium Teatro Manzoni con il Maestro Lothar Zagrosek che dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro Comunale di Bologna.
E’ stata una Stagione sinfonica tutta nel segno della musica del Regno Unito, in occasione del centenario della nascita di Benjamin Britten, che il Teatro Comunale ha saputo celebrare anche grazie all’allestimento di The turn of the screw, andato in scena lo scorso novembre con ampio consenso della critica.
In programma:
Ludwig van Beethoven – Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61
Violino, Dmitri Sitkovetsky
George Benjamin – Dance Figures
Anton Bruckner – Te Deum per soli, coro misto a quattro voci, orchestra e organo
Soprano Patrizia Biccirè
Mezzosoprano Cristina Melis
Tenore Paolo Antognetti
Basso David Steffens
Il direttore tedesco Lothar Zagrosek, già applaudito nel concerto sinfonico della scorsa settimana, dirige dunque l’ultimo appuntamento con la grande musica sinfonica, che si conclude con il maestoso Te Deum di Anton Bruckner.
“Il Concerto in Re maggiore op. 61, penultimo nella serie di quelli composti da Ludwig van Beethoven, rappresenta l’approdo finale della sua riflessione estetica intorno al violino e alle forme concertanti che lo coinvolgono; […]La partitura fu ultimata, dopo poche settimane di lavoro indefesso, nel dicembre del 1806, solo un paio di giorni prima dell’esecuzione, che ebbe luogo al Teatro an der Wien di Vienna il 23 di quel mese. Ne fu interprete il violinista e direttore d’orchestra Franz Clement, ex fanciullo prodigio assurto a notorietà internazionale sin dagli anni novanta del Settecento, il quale sollecitò la composizione del concerto e, verosimilmente, offrì la propria consulenza all’autore in merito agli aspetti tecnici della scrittura riservata allo strumento solista. L’accoglienza dell’opera da parte del pubblico fu decisamente negativa: forse il numero insufficiente di prove diede luogo a un’esecuzione mediocre; forse le pur spettacolari improvvisazioni di Clement interpolate fra un movimento e l’altro inficiarono la comprensione del testo beethoveniano; forse la serena profondità di quest’ultimo disattese le aspettative degli ascoltatori; di fatto il concerto non fu più ripreso, nemmeno dal virtuoso che neera stato il primo interprete. Solo dopo la morte di Beethoven si ebbero nuove esecuzioni dovute prima al belga Henri Vieuxtemps e poi a Joseph Joachim; finalmente, nella seconda la metà del secolo l’opera si attestò fra i capisaldi della letteratura violinistica.
Il concerto in Re maggiore sopravanza per complessità ed estensione i lavori omologhi precedenti; rispetto a quelli contemporanei o di poco successivi (Spohr, Paganini), non indulge a slanci di virtuosismo estremo, favorendo piuttosto una misurata cantabilità. […]”
“La carriera di George Benjamin ha avuto un esordio clamoroso nel 1980, quando il suo primo lavoro per orchestra, Ringed by the Flat Horizon, è stato eseguito nell’ambito dei BBC Proms ondinesi: appena ventenne si è in tal modo guadagnato il primato di compositore più giovane mai invitato a presentare una propria opera nel più popolare festival britannico; […] Oggi Benjamin è fra i più reputati compositori della sua generazione: gli è riconosciuta, in primo luogo, una formidabile padronanza tecnica del linguaggio musicale, della sua architettura formale e delle risorse timbriche dell’orchestra, padronanza profusa nell’atto creativo con la cura meticolosa propria di un perfezionista, come dimostra la lunga gestazione alla quale ha sottoposto la maggior parte dei suoi lavori; non si tratta tuttavia di una scrittura ostentatamente concettuale o ingessata in una’algida perfezione tecnica, poiché quest’ultima risulta funzionale agli intenti espressivi dell’autore e si accompagna a un gusto immaginifico per la sonorità strumentale. […]
Dance figures presenta alcune caratteristiche anomale all’interno del catalogo di Benjamin, a cominciare dal fatto che la partitura è stata approntata in soli tre mesi. Frutto di una triplice commissione giunta dal Theatre Royal de la Monnaie, dalla Chicago Symphony Orchestra e da Strasbourg Musica, è il primo lavoro di Benjamin destinato alla danza, un balletto composto con la prospettiva di accogliere la coreografia di Anne Teresa de Keersmaeker. In questa forma l’opera è effettivamente andata in scena a Bruxelles nel maggio del 2007, mentre la prima esecuzione concertistica ha avuto luogo a Chicago il 19 maggio dell’anno precedente con Daniel Barenboim alla guida dell’illustre orchestra sinfonica della città; l’autore stesso ha diretto la prima europea pochi mesi dopo. Benjamin riferisce che il suo approccio a questo genere musicale è stato influenzato dal ricordo delle coreografie di George Balanchine per Agon di Strawinsky: nell’apprezzarne le figure essenziali, tali da lasciare «spazio e aria» ai danzatori, ha maturato il convincimento che le piccole forme musicali siano più appropriate alla danza di quanto non lo siano le grandi narrazioni sinfoniche. In quest’ottica, e in contrasto con la complessità strutturale dei suoi precedenti lavori per orchestra, si è cimentato nella creazione di una suite di piccole forme, ciascuna però dotata di un suo tratto caratteristico e di coerenza interna. Il materiale originale di Dance Figures deriva da alcuni brani pianistici destinati alla gioventù: semplicemente trascritti per orchestra o sottoposti a significativi ampliamenti e rielaborazioni, essi danno origine a nove brevi movimenti, concatenati in vario modo e contraddistinti da forti contrasti di carattere, forma e colore. […]”.
«Per voci angeliche, spiriti devoti, cuori tormentati e anime purificate dal fuoco»: con queste immagini estatiche, fissate in forma di appunto sulla partitura tascabile del Te Deum di Anton Bruckner, Gustav Mahler descrisse le impressioni suscitate dalla più grandiosa pagina di musica sacra concepita dall’antico maestro e amico. Molto si è scritto riguardo alla religiosità di Bruckner: tale prospettiva è affatto pertinente, poiché il senso di appartenenza alla fede a alla cultura cattolica del compositore austriaco ne influenzò non solo la vita interiore, ma anche la produzione musicale e l’identità intellettuale. Negli anni della piena maturità, invitato a esprimersi circa l’annoso conflitto che opponeva ai wagneriani, suoi estimatori, i classicisti, entusiastici sostenitori di Brahms, Bruckner volle significare la sostanziale differenza di indole e forma mentis attribuendo a sé stesso una natura ardente di cattolico, a Brahms un freddo temperamento protestante. La musica sacra costituisce una porzione consistente dell’opera bruckneriana: nella prima fase della sua carriera, i lunghi anni trascorsi nella provincia austriaca, le composizioni da chiesa sono numericamente preponderanti, dato comprensibile perché connesso all’incarico di organista nell’abbazia di S. Florian che l’autore ricoprì dal 1848 al 1855; durante la permanenza a Linz (1855-1868) videro la luce opere pienamente mature, prime fra tutte le tre grandi messe; infine, nel periodo viennese la produzione sacra, se pure incrementata con frequenza minore rispetto al passato, si illustrò di monumenti quali il Salmo CL e il Te Deum.
Quest’ultimo rappresenta non solo il culmine dell’opera sinfonico-corale di Bruckner ma anche uno dei suoi lavori più celebri e apprezzati; […] L’unità estetica universalmente riconosciuta a questo lavoro risale ab origine alla sua prima stesura, compiuta di getto in pochi giorni nel maggio del 1881; l’autore si accostò nuovamente alla partitura per completarla nel 1884, essendo stato in precedenza assorbito nella composizione della sesta e della settima sinfonia; una prima esecuzione diretta da lui stesso con l’accompagnamento strumentale ridotto per due pianoforti si tenne il 2 maggio 1885, mentre la versione con orchestra fu presentata al pubblico l’anno successivo da Hans Richter. Frutto spontaneo dell’ispirazione di Bruckner, non sollecitata da alcuna committenza, il Te Deum reca la dedica: «omnia ad maiorem Dei gloriam»; in più di un’occasione il compositore lo descrisse come un devoto ringraziamento a Dio per il superamento delle avversità che avevano amareggiato i primi anni del suo soggiorno viennese. Appare tuttavia plausibile che l’opera sia stata concepita quale suprema incarnazione degli ideali bruckneriani relativi alla musica da chiesa, sintesi della tradizione austriaca sei-settecentesca e dei grandi affreschi sinfonico-corali romantici. […]
dal programma di sala a cura di Michele Vannelli.
Insignito del premio “Kritikerpreis 2009” in Germania, Lothar Zagrosek si è formato sotto la guida di Hans Swarovsky, Istvàn Kertész, Bruno Maderna e Herbert von Karajan. Diventa direttore musicale a Solingen, punto di partenza di una carriera che lo vedrà direttore musicale di molte istituzioni musicali: Orchestra Sinfonica della Radio Austriaca di Vienna, all’Opera di Parigi (1986-1989), direttore ospite della BBC Symphony Orchestra, direttore musicale della Leipzig Opera (’90-92), primo direttore ospite e consulente artistico della Junge Deutsche Philharmonie, Direttore Musicale alla Stuttgart Opera (’97-2006). Collabora regolarmente con: Bayerische Staatsoper a Monaco, Deutsche Oper di Berlino, Semperoper di Dresda, Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, Royal Opera House Covent Garden di Londra. Ha diretto i Berliner, i Münchner Philharmoniker e i Wiener Symphoniker, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, l’Orchestre National de France, la London Philharmonic, l’ Orchestre Symphonique de Montreal e la NHK Symphony Orchestra di Tokyo. Lothar Zagrosek è ospite di prestigiosi festival quali: Glyndebourne Festival, Wiener Festwochen, Berliner Festwochen, London Proms, Opera Festival di Monaco e Salzburg Festival oltre ad essere ospite abituale di festival di musica contemporanea fra cui Donaueschingen, Berlino, Bruxelles e Parigi. Appassionato didatta è impegnato nel sostegno ai giovani talenti. Lothar Zagrosek torna in Italia dove è stato applaudito per la sua interpretazione de Die Schöpfung di Haydn a Verona e per il concerto inaugurale della rassegna The Schoenberg Experience al Teatro Comunale di Bologna. È inoltre regolare ospite alla Fenice di Venezia, dove ha ricevuto il plauso di pubblico e critica per la sua lettura di Intolleranza 1960 di Nono. Nei prossimi mesi sarà impegnato ad Amburgo in Kàt’a Kabanovà, in Don Giovanni a Francoforte e in una serie di concerti in Portogallo e Germania.
Dmitry Sitkovetsky ha suonato come solista con le orchestre più prestigiose: Berliner Philharmoniker, New York Philharmonic, Gewandhaus di Lipsia, London Symphony, Philharmonia, Concertgebouw di Amsterdam, NHK Symphony, Chicago, Philadelphia, Los Angeles e Cleveland Orchestra. Si è inoltre esibito ai Festival di Salisburgo, Lucerna, Edimburgo e Verbier. In questi ultimi anni ha intrapreso anche un’interessante carriera come direttore.
È stato Direttore Principale e consulente artistico dell’Ulster Orchestra dal 1996 al 2001 divenendone poi Conductor Laureate e ha collaborato con orchestre come: London Philharmonic, BBC Symphony, San Francisco Symphony, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Orchestre de Paris. È inoltre il fondatore della New European Strings (NES) Chamber Orchestra. Dal 2003 ricopre l’incarico di Direttore Musicale della Greensboro Symphony Orchestra, è stato inoltre Principale Direttore Ospite della Orchestra di Stato Russa (2002-2005) e dal 2006 al 2009 Artista Residente dell’Orquesta Sinfonica de Castilla y Leon. Moltissime le sue incisioni: quelle degli ultimi anni, come le composizioni per violino e piano di Š edrin con il compositore al pianoforte, riflettono l’interesse di Sitkovetsky per i compositori contemporanei. Ha eseguito la prima mondiale dei Concerti a lui dedicati da John Casken e Krzystof Meyer e spesso esegue composizioni di Dutilleux, Penderecki, Schnittke, Pärt e Vasks. Nel 2005 ha eseguito i due maggiori capolavori di John Corigliano – la Seconda Sinfonia e la Red Violin Suite – nel ruolo di violinista e direttore. Dmitry Sitkovetsky è nato a Baku, Azerbaijan, ma è cresciuto a Mosca dove ha studiato al Conservatorio fino al 1977, quando è emigrato a New York dove ha continuato gli studi alla Juilliard School.
Dal 1987 vive a Londra.