Straniera, infanticida, eroina perversa di una società corrotta: così rinasce Medea nelle parole di Antonio Tarantino e nell’interpretazione di Francesca Ballico, per una potente prova d’attrice in scena venerdì 4 e sabato 5 novembre (ore 21) a Teatri di Vita (via Emilia Ponente 485, Bologna; infoline: 051.566330, www.teatridivita.it).
Lo spettacolo Cara Medea, scritto dal drammaturgo più originale del teatro italiano contemporaneo, strappa la madre assassina dalla mitologia greca e la sbatte violentemente nel cuore di un’Europa martoriata, quella che va dai lager nazisti alle guerre balcaniche, fino all’interminabile esodo di romeni e albanesi ai confini italiani. Uno spettacolo di forte emozione, che vede l’attrice impegnata in un multiforme impasto linguistico.
Lo stesso Antonio Tarantino, dopo aver visto questa versione, ha scritto: “corrisponde esattamente alla mia intuizione drammaturgica originaria: dove il personaggio del mito viene precipitato in un inferno di irreali realtà post belliche, in un mondo che s’insegue vanamente alla ricerca di un senso di sé che forse non ha mai avuto prima ancora di averlo smarrito. Interpretata con grande intensità da Francesca Ballico”.
Fulminante e coinvolgente monologo del 2004, Cara Medea trasferisce il classico mito della infanticida ai giorni nostri, facendole indossare i panni di una straniera che viaggia attraverso le guerre e le migrazioni. Dai Balcani al Caucaso lo spettacolo crea una macedonia linguistica che tritura le parole di una Medea calpestata dalla storia, brutalizzata, che uccide quasi d’impulso. Nella semplicità naturale degli abusi, filtrano migrazioni che si mescolano nel tempo e nella geografia dell’umiliazione dei massacri. Dalle parole faticate di chi è sempre straniero, ad un corpo intruso e inopportuno, Medea incarna chi vive agli angoli delle strade delle nostre città così come chi si trova a vivere la condizione di immigrato.
Nella sua interpretazione, Francesca Ballico inchioda la sua Medea alla comunicazione di una grottesca telefonata d’amore impossibile, sputando dentro la cornetta dolore e sarcasmo in un impasto linguistico che mescola idiomi slavo-balcanici con l’italiano corrotto di Tarantino e il friulano.
Una vera “prova d’attrice” per un monologo che attraversa 6 lingue, senza mai trovare requie, proprio come la Medea straniera del mito. Una prova amplificata dal primissimo piano della bocca, degli occhi, del volto sofferente o beffardo, rilanciato su grande schermo: così la Medea di Francesca Ballico si ritrova lottatrice ma perdente, dopo aver attraversato l’inferno del lager di Sobibor, della prostituzione nelle camionarie della Mitteleuropa, irridendo un bolso Giasone diventato magazziniere nel fantomatico silurificio di Pola…
«Medea la barbara, la straniera, porta la voce di lingue sconosciute, la ferita della carne degli uccisi, il sacrificio dei figli, fatti a pezzi per Giasone, il moderno, lo scaltro, il pragmatico. Nella versione di Antonio Tarantino dietro i nomi del mito si arrabattano due disgraziati, offesi dalle guerre, rovinati dal vino cattivo, e dalle prestazioni sessuali consumate tra i camion nelle strade di frontiera. La mia Medea non riesce a farsi capire, il suo linguaggio diventa ridicolo come l’ostinazione a comunicare il suo orgoglio, la vanità di avanzi di seduzione, la rabbia, le sue inutili recriminazioni ad un Giasone altrettanto impotente, che le spilla due lire tra i campi di confino. Una babele di lingue che che segna il cammino di migrante, tra le guerre che hanno dilaniato i confini dell’Europa. Parole sconosciute che si affastellano, si sbriciolano progressivamente fino a diventare sillabazioni inopportune, grottesche. Inadeguate al racconto. La linea cade, la comunicazione si interrompe, e riprende in un flusso caotico, dal quale traspare la storia di due eroi di rango più basso, una storia che non ha asilo nel mondo civile, che non sa difendersi, risibile. Seguirò il suo cammino tra i confini, sbriciolando il Polacco, il Friulano, il Croato, l’Albanese, il Rumeno, e il Russo e l’Italiano sgraziato e inopportuno di chi adesso qui, racconta le sue improponibili vicende tra una fellatio e l’altra. Un modo questo, di usare la bocca e farsi capire ovunque».
Francesca Ballico
Antonio Tarantino si impone nel panorama nazionale a cinquantacinque anni con il Premio Riccione per il teatro nel 1993 per Stabat Mater (portato poi in scena da Piera Degli Esposti, con la regia di Cherif) e La passione secondo Giovanni. Pittore, nativo di Bolzano, Tarantino colpisce per il suo stile oscillante tra la sonorità tragica e la gag comica, affronta con tono sarcastico e grottesco tematiche estremamente contemporanee e cruciali come il disagio, la diversità, la malattia e l’emarginazione. Nei Materiali per una tragedia tedesca si confronta con il terrorismo rosso in Germania, tra il malcostume politico e le stragi. Successivamente i suoi testi si sono avvicinati al conflitto arabo-israeliano (La Pace e La casa di Ramallah). Tutte le sue opere sono pubblicate da Ubulibri e i suoi lavori sono stati rappresentati in numerosi paesi stranieri, dove sono stati tradotti e allestiti.
Francesca Ballico, attrice poliedrica, ha attraversato diversi ambiti della scena contemporanea. Ha seguito il lavoro sulle nuove scritture di Luigi Gozzi ed è stata voce recitante in prestigiosi festival musicali internazionali. Da anni lavora a Teatri di Vita con il regista Andrea Adriatico per il quale ha interpretato numerosi ruoli tra cui quello di protagonista nell’estrema drammaticità e carnalità di Orgia di Pier Paolo Pasolini e quello vorticosamente comico nelle Quattro gemelle di Copi. E’ stata una delle sorelle nelle Cognate di Michel Tremblay e ha presentato la scorsa stagione il suo monologo Quel che si chiama vita.