Editoriale uscite sul Bolognadavivere di Giugno 2011
Bologna. Interno Notte. La citta’ che mi si e’ rivelata e ha preso forma nel film MY MAIN MAN appunti per un film sul jazz, e’ un posto fantastico che non esiste. Non perche’ il tempo l’abbia consumata -il film racconta oltre a squarci di presente l’eta’ dell’oro del jazz tra il 1958 e il 1975- , ma perche’ e’ un posto incantato, accessibile a pochi adepti di quella cosa, quella new thing, quel coacervo sublime dal nome onomatopeico che chiamiamo JAZZ. Solo a dirlo, se ci si sofferma con attenzione sul suono della parola, la mente intuisce qualcosa, la percezione si ingegna… JAZZ. Senti come scorre… Un’altra gran parola e’ SWING… intraducibile. L’ho scoperto strada facendo.
E allora che centra l’Antica Emilia con una musica generata in qualche anfratto del basso Missisipi? Come mai tra la fine degli anni 50 e la meta’ degli ani 70 la citta’ delle torri si impone insieme a Parigi come epicentro d’Europa, punto di riferimento per i musicisti piu’ importanti, tanto che qualcuno decide addirittura di trasferircisi? Che cosa porta un profeta pazzo e illuminato come Thelonious Monk conosciuto per non suonare mai fuori dai concerti a far partire una jam session alle 5 del mattino a casa di un dentista batterista che curava i denti a Chet Baker e Art Blakey?
Le risposte potreste trovarle vedendolo, il film… Se poi alcuni dei nomi finora letti non vi dicono niente allora è la dimostrazione che quel posto non esiste. Ma se invece vibrano quando li pronunciate mentalmente, vuol dire che la mitologia vi interessa. Una mitologia che ancora si puo’ toccare con mano; se penso che un gigante come Benny Golson (ricordate il film di Spielberg The Terminal? E’ il sassofonista per il cui autografo Tom Hanks affronta le sue peripezie) si e’ aperto ad un fiume di parole nel retro palco del Lincoln Center a New York, proprio dove inizia il Centra Park, tra un set e l’altro raccontandomi di quando lui e Coltrane dormivano uno con i piedi in faccia all’altro per risparmiare o di quando, all’ennesima cacciata da un quintetto finivano a piangere dalla madre di Golson e questa diceva loro, “Non temete, un giorno loro saranno nessuno e voi sarete grandi…” Se vado con il ricordo a Gato Barbieri, che mi regala una copia di Ultimo Tango e poco dopo al suo modo di dire “Cazooo” con una zeta sola, ecco insomma, se ci penso a fondo, realizzo di essermi affacciato su un mondo che esiste e persiste nel tempo, sta in piedi grazie a qualche cosa che va oltre la dimensione razionale, e si manifesta, per citare il sig. Coltrane appunto, attraverso un’Amore Supremo, A Love Supreme…
Se il cinema e l’arte, dunque la musica, servono a qualcosa che non e’ solo godere di una pura essenza, a mio parere servono ad aiutarci ad interpretare la dimensione che chiamiamo realta’.
Interpretare la piu’ sfuggevole delle percezioni attraverso un altro grande paradigma dell’inafferabile. Entrambi, cinema e musica se ne stanno li e non si fanno prendere. Qualcosa pero’, che lo si voglia o no, rimane. Gianni Amico nel ‘63 comprendeva, mentre questa era in atto, che la Nouvelle Vague francese significava una rivoluzione per il linguaggio del cinema, e non ne parlava a posteriori, come potrei fare io e in parte faccio riferendomi ad un’eta’ dell’oro che non c’e’ piu’, ma ne era consapevole in diretta, proprio durante il manifestarsi del nuovo. In quegli stessi anni decideva di realizzare uno dei piu’ bei film di musica del cinema italiano proprio qui e proprio durante un’edizione del festival jazz diretto da Alberto Alberti e Cicci Foresti (altri due nomi che non vi dicono niente ma di cui scoprirete), tra i protagonisti Don Cherry, Gato Barbieri, Franco D’Andrea, Johnny Griffin… perche’ sento il bisogno di dire anche questo? Nel sottotitolo del film di oggi, vi e’ una citazione e una dedica, da subito ho creduto che potesse guidarmi proprio questa certa nostalgia che si vede nelfilm del 63… perche’ alcuni dei protagonisti siamo andati a scoivarli più di 40 anni dopo ed è stata una sorpresa, e perchè vedere il teatro comunale pieno zeppo di pubblico di ogni estrazione sociale, mosso da un fuoco comune alimentato oltre che dal contesto e dalla curiosità, da una classe dirigente in linea piena con il tempo di cambiamento e con l’idea di dare gli strumenti ai propri cittadini per aiutarli a comprendere, a decifrare un linguaggio altrimenti complicatissimo come ad esempio un concerto di free jazz… beh insomma, mi fa venire i brividi di piacere. Piacere e nostalgia per qualcosa che non ho vissuto; chi vi scrive non era nelle cantine di Via Rizzoli ad assistere ai fraseggi e ai blues lenti come ci racconta il grande Franco D’Andrea, di Mingus e Dolphy, ma nasceva nel 1978, 3 anni dopo la fine di quell’epoca. La mitologia la si può e la si deve studiare, magari amare, perche’ ci racconta qualcosa di noi. Allora ecco. Nasce un film.
Germano Maccioni è nato a Bologna nel 1978. Regista e attore, lavora in teatro e al cinema fra gli altri con Giancarlo Cobelli, Kim Rossi Stuart, Franco Branciaroli, Giorgio Diritti, Tatti Sanguineti, Franco Maresco